Strana ma magica: Le Mans

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Strana ma magica: Le Mans

                                         

È una Le Mans strana, non c’è che dire. Possono sembrare tante 50 mila persone paganti, ma non lo sono se le vedete in spazi pensati e costruiti per 200-250 mila persone, tutte nello stesso momento nello stesso posto. Anche il clima è particolare. Qui sono quasi tutti in ferie, robe da non credere: mezza Arnage è chiusa, i ristoranti non hanno modificato gli orari per rispondere alle esigenze degli spettatori, le esposizioni di auto d’epoca che si facevano ogni anno anche nel più micragnoso dei paesi attorno al circuito saltano come mosche. Si è fatta solo quella di Arnage, parecchio bellina, ma tutto il resto no.

 

I ristoranti nel circuito sono per metà vuoti, in città i cartelloni pubblicitari non sono poi tanti, le code per entrare in pista quasi non ci sono, né per l’unico accesso riservato al pubblico né per quello dei media. Manca la gente insomma, che da sola faceva mezza 24 Ore. Ne senti la mancanza anche fisica facendo semplicemente una passeggiata in qualunque luogo attorno al circuito. Il ponte Dunlop, dove due anni fa si sgomitava per avere un passaggio purché fosse, quest’anno è sempre quasi vuoto. A Mulsanne e Indianapolis non ci sono le (almeno) due file di spettatori davanti alle reti. Certo, ci sono anche dei punti a favore: nessun giapponese ti spinge per passare, tutto è meno caotico, non c’è coda davanti ai baracchini dei paninari. Ma anche qui: i paninari mercoledì sera avevano finito tutto alle 21, quando la corsa non finiva prima delle 24.

 

E poi il caos è una parte imprescindibile di Le Mans. I baracchini che vendono modellini, riviste e cianfrusaglie, stand pieni di gente, nonni e nipoti, tutte le lingue del mondo motoristico, tipi strani e altri stilosissimi, alto e basso, ubriachi e cravatte. Quest’anno tutto questo non c’è, o c’è molto meno: il pubblico è tenuto a distanza, come fatalmente imposto dal Covid. Italiani non ce ne sono o ce ne sono pochissimi, si sente parlare francese dappertutto, quasi niente tedesco e pochissimo inglese (anche dal personale del circuito, ma questa è un’altra storia). È un anno di transizione, com’era ovvio aspettarsi. Chi c’era qui l’anno scorso, con le tribune tutte drammaticamente vuote, racconta che era come un incubo. Qualcosa di irreale, eppure così tragicamente vero.

 

Ma Le Mans è più forte di tutto. Il fascino sportivo è quello di sempre, e si è visto anche già alle qualifiche: nessuno si aspettava che le Toyota andassero davvero così forte, e occhio alle Gt. La battaglia fra Porsche e Ferrari sarà di quelle straordinarie, con Porsche che vuole proseguire con le vittorie riacciuffando il Cavallino anche fra i costruttori e Ferrari che ha puntato tutto sulla Sarthe: dopo la sconfitta di Monza, vincere qui metterebbe una parola buona sul resto della stagione, dove restano da assegnare 68 punti oltre ai 50 della Sarthe. Il via lo darà un signore a caso, quel John Elkann presidente di Stellantis e Ferrari. Dopo aver dato il Tricoleur ai piloti, Elkann resterà al box per vedere tutta la gara (o almeno una buona parte: passare 24 ore in un box è forse più massacrante di correrle). Nessuno ci starà a perdere. Vincere a Le Mans vale molto più di vincere un Mondiale. Signore e signori, buon divertimento.

 

 

 

Niccolò Budoia

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