Serna e l’Hunaudières

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Serna

e L’Hunaudières

 

 

Una settimana. La settimana Santa. Come gli appassionati di Endurance chiamano quel periodo di tempo che precede la 24 Ore di Le Mans.

La mia prima volta sulla Sarthe. Quattro anni fa. Il frutto di una promessa e di una parola data.

Bisogna esserci. Come più volte Denny Wilde da commissario di gara e amico mi ripeteva, in attesa di quel 16 giugno che sembrava non arrivare mai fino a piombare improvvisamente nella mia vita, da eburneo masegno veneziano. Inamovibile dai tuoi pensieri da corsa. Bisogna esserci per capire. Comprendere il fascino apparentemente insensato di correre per 24 ore consecutive su di un anello di oltre 13 Km. Tanta energia spesa con l’unico scopo di  tornare dal punto in cui si è partiti 24 ore prima. Insensato appunto. Ma un viaggio è tale non per la meta che si raggiunge ma per ciò che quel percorso ci fa attraversare.

 “Eh sì, la posteriore sinistra. Come l’anno scorso in gara. Visto? Non vuole mollarmi.”

14 giugno.

Giovedì.

Ancora non ero pronto. Era solo un accenno di quella ferocia che una gara come la 24 Ore di Le Mans possa essere capace di rivelarti, prima ancora che tu sia in grado di esserne fisicamente al via.

Spettatore,pilota, o chiunque tu sia.

Il giorno prima, mercoledì, durante una sessione di prove libere Giorgio davanti ai miei occhi sul rettifilo dell’Hunaudières aveva forato la posteriore sinistra, come già gli era successo al debutto in gara l’anno precedente. Ci ridiamo sopra. Il passato è passato. Ieri. Trapassato remoto se corri veloce. Un attimo, una pizzicata di troppo e la gomma cede. Cose che capitano, in attesa delle qualifiche, dell’oggi e di quel giovedì che sembra regalare univocamente nuove speranze. Io nella mia roulotte di fianco l’Hunaudières a scrivere, Giorgio in pista a mettere a punto la 47 insieme a Roberto e Felipe (Nasr).

“Emi, siamo in regime di bandiera rossa. Credo abbia picchiato la 47 trecento metri prima della nostra postazione alla prima variante dell’Hunaudières…cazzo!…Un…rottame.”

Denny è laconico. Troppo. In televisione non è passato nulla. Uno stacco pubblicitario è andato in onda mentre Serna e la 47 volano sulle reti.

Esco fuori.

La SQUAD, il mio gruppo di commissari di gara su di un punto è stato inderogabilmente chiaro. In nostra assenza non avvicinarti per nessun motivo alla pista. Se ti becca la Gendarmerìe francese passi un brutto quarto d’ora. Garantito. In televisione la faccia inquieta e scoraggiata di Roberto non mi tranquillizza affatto. Vado a vedere. Me ne frego della Gendarmerìe e vado a vedere.

 “Tu sei Ok, Giorgio?”

“Devo scendere perché… la macchina è de-molita.”

Giorni dopo, un team radio di Serna mi racconterà tutto questo.

Può accadere che la strada del nostro viaggio sia ancora lunga. Un lungo viaggio, anche solo per poter arrivare, a una meta che nemmeno s’intravede. Nonostante il buio rotto dai fari, nonostante l’Hunaudières  possa farti brutalmente capire chi sia e chi da queste parti comandi, senza per questo dover alzare insistentemente la voce.

Gli basta essere quello che è. Silente predatore in attesa, di tutti quei piloti venuti qui ogni anno da ogni parte del mondo per sfidarlo.

In un gioco delle parti mai concluso fino alla successiva e futura 24 Ore.

Quella, non ancora disputata.

“Tu sei Ok Giorgio?”

Sì, Giorgio è ok.

Per una cinquina meravigliosa di partecipazioni.

Che oggi racconta la sua storia a Le Mans.

E quel rapporto mai scontato.

Di Serna con l’Hunaudières.

 

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