

Quella pole
di
Dan Gurney
Dimenticare Dan Gurney…
E come si potrebbe.
La statuaria figura di quest’uomo, direttamente proveniente dagli anni ’60 andrebbe ricordata per l’eternità. Anche solo per un semplice fatto di costume, legato al mondo delle corse.
Tante, sono le prime volte nella carriera di Dan.
Eh si.
A cominciare da una domenica di agosto del 1962 in Germania. Dopo aver vinto il suo primo Gran Premio in terra di Francia.
Sul circuito del Nürburgring, Gurney è al volante della Porsche 804. Tempo sui 23 chilometri della Nordschleife 8’ 47” e due decimi, mettendosi davanti alla Lotus di Graham Hill in prima fila con lui di tre secondi. Il pilota statunitense ottiene così la sua prima pole in Formula 1. Motore montato sulla vettura tedesca un otto cilindri piatto da un litro e mezzo siglato “753”. Un propulsore dotato di raffreddamento ad aria, in linea con la tradizione dei boxer da competizione prodotti dalla casa di Stoccarda, in vece di quella prima e unica pole in Formula 1 di una monoposto costruita in toto dallo storico marchio tedesco.
5 anni più tardi.
Una domenica di metà giugno, ancora in Francia.
La prima volta delle bollicine dal podio, agitando energicamente con americana noncuranza una bottiglia Nabucodonosor di Moet Chandon insieme ad A. J. Foyt, vincitori disinvolti per L’America e la Ford, cavalcando a Le Mans l’ultima nata dell’invincibile armata della casa americana: la GT 40 nella sua versione MK IV. La prima, a essere stata completamente costruita negli Stati Uniti. I conti con Ferrari e la Ferrari definitivamente regolati. Il tutto, a corredo di una calotta in vetroresina inserita nello sportello a scomparsa della sport realizzata dalla casa di Detroit.
Perché Dan, come Parkes al Cavallino, col suo metro e novanta…piccolo non era.
Belgio.
Stesso anno.
Per la prima volta una vettura americana è in grado di vincere un Gran Premio di Formula 1 lontano dal catino della 500 Miglia di Indianapolis, quando ancora la grande classica dell’Indiana era parte del circuito iridato, almeno finché rimase nel calendario del Circus fino al 1960.
A Spa, Dan Gurney porta la sua Eagle alla vittoria. Finalmente era riuscito a vincere un Gran Premio con una monoposto costruita da lui. Da quel momento per sua stessa ammissione, sarebbe anche potuto morire all’istante senza aver alcun rimpianto. La prima volta di un telaio americano vincente in Europa, sui veloci e temibili saliscendi delle Ardenne.
Invece Dan, per nostra fortuna, avrebbe continuato a vivere.
Ancora a lungo.
L’anno dopo a Zandvoort nel Gran premio d’Olanda, Gurney si presenta con un casco integrale, che poi userà in gara a partire dal Gran Premio di Germania al Nurburgring. Da quel giorno, progressivamente tutti i piloti adotteranno quell’elmo rivoluzionario, cui in Formula 1 resisterà stoicamente il finlandese Kinnunen, per nove estemporanei giri su una Surtees privata sei anni più tardi.
Inossidabile Leo.Alla guida col suo midget aperto e tanto vento in faccia.
Un pilota americano e il suo “casco spaziale”; come si affrettarono rapidamente a scrivere i giornali sportivi del tempo sulle loro pagine, proprio mentre la corsa alla Luna è al culmine della sua escalation.
Vallo a spiegare oggi a un ventenne …chi fosse Dan Gurney.
L’uomo delle rivoluzioni.
E di quell’unica pole ottenuta come un motore boxer raffreddato ad aria.
Come lui 60 anni fa, nessuno mai.
Grazie tante Marine.
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