Quel giro di Bandini a Le Mans

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Quel giro di

Bandini a

Le Mans

 

(62 giorni a Le Mans)

 

Lorenzo.

Un nome, a sottrazione di un mondo che non gli ha mai voluto troppo bene. Poco importa. L’importante era arrivare dove volesse arrivare.

Davanti a tutti.

Quello che invece sul calendario cronologicamente arriva è il ‘67. Un compagno di squadra come Amon con cui intendersi a meraviglia e una macchina da corsa che è un’autentica opera d’arte: la Ferrari 330 P4.

Lorenzo non fu mai campione. Ma nessuno fu come Lorenzo. Quando sul piatto delle corse c’era da mettere sempre qualcosa in più, rispetto a ciò di cui si fosse naturalmente in possesso. C’era lui a Daytona a guidare la parata della Rossa davanti al pubblico americano. E c’era sempre lui in prima fila, prima degli altri, nel reggere le sorti di una squadra in cui si chiedeva di essere innanzitutto uomini.

E poi tutto il resto.

Se il gioco si faceva duro, Bandini c’era. Sempre. Rivendicando le ragioni del proprio sogno. Ciò che nessuno avrebbero potuto portargli via. Mai. Compresa la Ford con la sua GT 40, vittoriosa a Le Mans l’anno prima.

Messaggio ricevuto. Forte chiaro.

È il nove di aprile.

Sulla Sarthe Il cronometro si ferma sul nuovo record ufficioso della pista.

3’ 25” 500.

Bandini aveva appena levato cinque secondi al precedente primato siglato da Gurney con la MkII settemila di cilindrata. In mezzo  balla un tremila, un altro motore, visto che la sua P4 monta un propulsore di soli 4 litri rispetto all’otto cilindri americano.

Leggenda vuole che a Shelby cada il cronometro per terra, finito letteralmente in frantumi dietro lo stupore del manager americano nel leggere dalle lancette del proprio strumento quell’assurdo rilevamento temporale.

L’assurda percezione di un momento. Un giro perfetto alla guida di una Ferrari P4.

Già.

Perché Lorenzo era così. Non era un campione, ma faceva cose che i campioni non possono fare.

Come successe in quel giorno di test. Proprio qui.

Sul circuito di Le Mans.

 

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