LGBT Seb
“Sostengo chi soffre. Squalificatemi.”
Proprio in questi giorni, un anno fa in Ungheria, Seb Vettel ci mise la faccia, una maglietta arcobaleno e tutto quanto avesse in corpo per portare le proprie ragioni all’attenzione del mondo intero.
L’idea che il governo ungherese, attraverso il premier Orban promulgasse leggi discriminanti sulla base dell’appartenenza di genere, eufemisticamente non è che proprio l’avesse entusiasmato. Anzi a dirla tutta fece il possibile per non nascondere pacificamente il proprio disappunto.
La squalifica giunse lo stesso, ma per mere questioni tecniche. Nel parco chiuso dell’Hungaroring la sua Aston giunta seconda al traguardo fu trovata con meno di un litro di carburante nel serbatoio. Un quantitativo inferiore a quanto previsto dal regolamento tecnico della FIA per le analisi di conformità del propellente in laboratorio.
Via la coppa dalle mani di Seb, in favore di Hamilton e Sainz, rimandando a Baku e al primo podio dell’Aston in Formula 1 l’ultimo piazzamento di Vettel in carriera tra i primi tre. Secondo, alle spalle della RB di Sergio Perez.
Ultima vittoria in Formula 1 Singapore 2019.
53 vittorie. Al momento il terzo pilota più vincente ogni tempo, oltre a essere il terzo ferrarista più vincente ogni tempo con 14 successi. Pur senza aver mai portato il titolo in Ferrari. Nonostante quella prima vittoria in Malesia nel 2015, promettesse l’inizio di una nuova era, che mai a Maranello per sua mano sarebbe giunta.
In tanti quel giorno piansero.
Senza pensare in quell’istante a nessun carrello dei bolliti per beceri idioti.
Potrebbe bastare questo, a delineare nei minimi termini possibili la carriera di Vettel in 18 anni di Formula 1.
LGBT.
Leaves Gentle Brave Talent.
L’unico acronimo possibile per un pilota del genere. Per quello stesso amore, portato in pista con orgoglio.
Insieme a una maglietta arcobaleno.
Viele Danke. Herr Seb.
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