

Le Mans e
l’ossimoro
del pubblico
(142 giorni a Le Mans)
Mamma mia.
E quanto vorrei c’entrassero gli ABBA coi loro vestitini eufemisticamente al limite del kitsch…
Le Mans senza pubblico. Fu come assistere alla più importante rappresentazione teatrale al mondo…senza avere un teatro.
È successo. Il silenzio di una festa nazionale mai consumata.
Ci si chiedeva. Chissà una Le Mans a porte chiuse come sarebbe. Fummo amaramente accontentati. Perché una 24 Ore senza pubblico è come una donna bellissima, senza nessuno che possa ammirarla. Posta sotto una campana di vetro. Per un tempo che verrà.
Fu un’emozione silenziosamente forte. L’assenza di voci, di gente in vista di quell’attesa spasmodica fino alle tre del pomeriggio di un sabato di metà giugno spostata a settembre. In silenzio si soffriva, come essere preda di una forma di mal d’Africa da circuito della Sarthe.
Tante delle pagine che ho scritto su questo angolo di mondo, senza pubblico non avrebbero avuto lo stesso significato, la stessa importanza. Eppure. Eppure la storia delle corse passa anche da momenti come questo, da una Le Mans corsa a settembre, come successe nel ’68, quando il maggio francese prese il sopravvento sul resto del mondo, senza uno spettatore che dal vivo, potesse raccontarla. Avere con sé memoria di quel ricordo, portando a casa nella propria testa quanto successo in pista
Così fa un certo effetto. Buttare un attimo lo sguardo indietro nel tempo, per poi pensare all’oggi e all’edizione del centenario. Biglietti esauriti con sei mesi d’anticipo, per un numero di spettatori destinato a battere ogni possibile record di presenze in 91 edizioni della corsa francese.
Ossimori. Osmosi da pubblico.
Qualcosa da ricordare altrettanto attentamente. Dopo che Le Mans si è ritrovata per un attimo orfana del suo popolo.
Prima ancora che la corsa partisse.
Non più tardi, di tre edizioni fa.
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