

Le bollicine
di
Gurney
(162 giorni a Le Mans)
1967.
A.J. Foyt e Dan Gurney. Due yankee purosangue.
La prima volta delle bollicine dal podio dei vincitori. Agitando energicamente con americana noncuranza una bottiglia Nabucodonosor piena di Moët & Chandon.
Non sempre sono le sole vittorie a dover contare. Ma quello che fai per essere pilota. Fino in fondo.
Vincitori disinvolti per l’America e la Ford. Cavalcando a Le Mans l’ultima nata dell’invincibile armata della casa americana: la GT 40 nella sua versione MK IV. La prima, a essere stata completamente costruita negli Stati Uniti. I conti con Ferrari e la Ferrari definitivamente regolati. Il tutto, a corredo di una calotta in vetroresina inserita nello sportello a scomparsa della sport realizzata dalla casa di Detroit.
Perché Dan, come Parkes al Cavallino, col suo metro e novanta…piccolo non era.
L’anno dopo a Zandvoort per il Gran premio d’Olanda, Gurney si presenta con un casco integrale che poi userà in gara a partire dal Gran Premio di Germania al Nurburgring. Da quel giorno, progressivamente tutti i piloti adotteranno quell’elmo rivoluzionario. Stoicamente, l’ultimo a resistere a quella pacifica sommossa, il finlandese Kinnunen, per nove estemporanei giri su una Surtees privata sei anni più tardi.
Inossidabilmente alla guida, col suo midget aperto. Primo finlandese a mettere piede in Formula 1.
Un pilota americano e il suo “casco spaziale”; come si affrettano rapidamente a scrivere i giornali sportivi del tempo sulle loro pagine, proprio mentre la corsa alla Luna è al culmine della sua escalation.
L’uomo delle rivoluzioni.
Di norme e costumi.
La prima di tante volte.
Come per caschi e bollicine.
Come per Dan Gurney, dal podio di Le Mans.
Buon anno a tutti.
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