

“Jacky Le Mans”
(161 giorni a Le Mans)
Nella vita, può succedere di sposarsi con la donna sbagliata, come di finire a Le Mans con curiosità fanciullesca in età matura. Proprio come un bimbo a occhi aperti. Spalancati sulla meraviglia della Sarthe.
Ci sono cose che troverete solo in questo angolo di mondo. Altre invece, fanno parte di quell’assodato e odierno repertorio tecnologico di cui le corse moderne si nutrono, a prescindere dalla disciplina che si è deciso d’intraprendere.
Una cosa è certa.
Per comprendere a pieno Le Mans bisogna viverla. Lasciare che l’epidermide sia attraversata dal senso cosmopolita che quello stesso variegato popolo della Sarthe naturalmente esprime. Potreste sentire idiomi da ogni angolo del pianeta e non provare alcun senso di disagio che una lingua diversa dalla propria provoca, come un senso d’esclusione compreso nel prezzo. Una perfetta Babele orizzontale di cui essere parte con pieno diritto di appartenenza.
Seconda cosa.
A Le Mans l’uomo conta. Eccome se conta. Ho visto più lacrime qui che in qualsiasi altro box di un autodromo. Piloti, meccanici, team manager. Ho visto uomini che alla fine di un turno di guida erano preda di conati di vomito, con la faccia bianca come un cencio per lo sforzo profuso. Ho visto meccanici compiere autentici miracoli del lavoro, ricostruendo intere vetture dal nulla nell’arco di una notte, intanto che altri loro colleghi provenivano da squadre rivali, pur di offrire il loro aiuto sperando di vedere quegli stessi avversari al via. Tutti insieme. La legge di chiavi a tubo e cacciaviti a Le Mans. Il mutuo soccorso della Sarthe.
Ricordi certo.
Di uomini e le loro 24 Ore.
Gesti, che possono cambiare le cose, proprio come con Jackie Ickx nel ’69. Si partiva con le vetture a spina di pesce, coi piloti allineati sul lato opposto della carreggiata pronti a correre verso gli abitacoli per accendere il motore e schizzare via a tutta velocità.
Ickx no.
A quello scatto decide di non partecipare. In segno di protesta. Passeggiando attraversa la pista verso la sua GT40 con tutta calma. Allacciandosi immediatamente quelle stesse cinture che i suoi colleghi stringeranno al primo rifornimento. Accende il motore e parte. Ultimo in fondo al gruppo. Ickx quella corsa la vincerà. La prima di sei 24 Ore, mentre John Woolfe con una Porsche 917 perirà in un incidente al primo giro. Causa ed effetto. Quella cintura che Woolfe non indossava ha fatto una grande differenza, come per la Porsche, Jackie sarà l’esaltatore di sapidità dei suo successi a Le Mans.
Una vita, per una cintura non usata.
Già dalla stagione successiva,più nessuno correrà con le proprie gambe a via. Qualcosa grazie a lui era cambiato per sempre.
Un “sogno” in corsa.
Storie crudeli e meravigliose allo stesso tempo. Storie di vite.
Appese a un lampo di velocità.
Ecco cosa succede. Cosa è successo.
Se ti chiami Jacky Ickx. E corri vincendo proprio qui.
Fino a continuare a tagliare impunemente il traguardo del proprio compleanno ogni anno. Come un qualsiasi Pierino la Peste, lungo le strade per monelli da corsa.
Tanti auguri.
“Monsieur Le Mans”.
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