

Il volante appeso
di
Paul Frére
(146 giorni a Le Mans)
“Ho un ricordo di lui simile a quello di Taruffi. Cioè contai qualcosa in un momento decisivo per la sua vita.” (Enzo Ferrari, da “Piloti che Gente”)
Il volto così.
Tagliente, come scolpito dal vento sulla nuda roccia. Labbra sottili e quello sguardo talmente penetrante da far sembrare il resto del mondo una sorta di fastidio.
Raccontare la carriera di Paul Frére non è fare un torto all’idea di passione, o meglio: significa non fare un torto a quelle persone che nella vita non abbiano vocazioni di carattere assolutistico. Enzo Ferrari si era già accorto di qualcosa, come un tenero padre di famiglia, lontano dalle allegoriche figure del Saturno divoratore di genti. La sensibilità femminile del suo essere aveva ancora una volta visto giusto. Frère al volante era tosto, ma una simile penna giornalistica era destinata a intraprendere ben altra carriera. Per il suo bene e dei lettori destinati a intraprendere la visione dei suo resoconti.
C’è da chiedersi.
Quale Ferrari (dei tanti) avrà parlato a Paul?
Affascinante dilemma. Nella complessità della natura umana.
“Sapevo ch’egli teneva tanto a disputare, e possibilmente vincere, la 24 Ore di Le Mans. Lo invitai, allora, a fare coppia con Gendebien su una mia macchina, col patto che se avesse vinto avrebbe smesso di correre esaudendo così la preghiera della moglie e delle sue tre figliole.”
Frére nel 1960 ha 43 anni. È al volante di una 250 Testarossa insieme al connazionale Olivier Gendebien. Volti taglienti e sguardi spiritati di due belgi con tanto manico e tanta classe nel corpo e nel piede da non avere timori reverenziali di sorta. Per nessuno. Una corsa da raccontare e una vittoria per dire basta, assolvendo a quel patto sulla parola siglato con Ferrari.
“ Vinse, infatti, e mantenne la promessa. Mi chiese poi il volante della Ferrai che aveva impugnato in quell’ultima corsa gloriosa, per appenderlo al muro dietro la sua scrivania”.
A volte, ci sono vite che raccontano un uomo col suo talento.
Altre invece sono doni speciali. Di sensibilità e grandezza d’animo. E forse chi oggi come me batte le sue dita su di una tastiera inanellando parole per descrivere sentimenti in corsa, ecco, deve qualcosa a questo belga, conteso tra una penna e il pedale del gas di un’automobile, capace di correre maledettamente veloce. Come la sua parola era quella di chi aveva corso e aveva vinto, appendendo un volante dietro la scrivania del proprio ufficio.
Il volante appeso di Paul Frére.
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