Come il padre

di

Chad McQueen

(155 giorni a Le Mans)

In giro con papà.

Per Chad era una cosa normale in quei quattro mesi trascorsi a Le Mans in compagnia di suo padre. Prendeva il casco blu di Michael Delaney e poi montava su, per recarsi al lavoro come in un qualsiasi giorno in ufficio, lungo la tipica settimana lavorativa del tipico americano medio.

Solo…che la cosa cambia molto. Quando l’uffico è il set del film “La 24 Ore di Le Mans” e tuo padre finisce col chiamarsi Steve McQueen. Uno che da grande voleva fare e il pilota e invece si è ritrovato a far l’attore con quel sangue che non porta ossigeno ai tessuti ma pura velocità da trascorrere dentro l’abitacolo di una vettura da corsa.

“ Salta in macchina ragazzo.”

E Chad a 10 anni non è che se lo facesse ripetere due volte. Dentro l’abitacolo della 917, si ritrova sulle ginocchia di quell’improvvisato grembo paterno per sfrecciare nel bosco di Mulsanne a piena velocità.

Suo padre, Le Mans e la Porsche.

Tutte cose che non entrano semplicemente nella sua anima. Ci penetrano dentro per non lasciarla mai più, anche se il mondo che ha conosciuto intorno a lui scompare un giorno dopo l’altro. Il ricordo rimane, eco potente nella propria vita. A testimoniare un passaggio di consegne mai dichiarato alla luce del sole.

Dai proviamo a correre a Daytona.

A papà sarebbe piaciuto, lui che poi a Sebring ha corso davvero con un piede ingessato. Il rischio è parte del gioco. Dipende solo da quanto si è disposti a rischiare, nel correre con una vettura da corsa. In Chad la velocità è più di un semplice ricordo.

È stato ( e sarà sempre) lo strumento per conoscere l’affetto del proprio genitore.

Peccato Daytona l’abbia tradito. In mezzo a mille fratture facendogli dire basta prima ancora di cominciare a far sul serio.

Rimane l’orgoglio paterno. Nel cercare di vedere Chad, immaginarlo alla guida dell’amata Porsche sull’Hunaudières.

Insieme, nella gara più bella del mondo.

Oltre un cielo.

Di semplice velocità.

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