Caro Emiliano, godiamocela

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CARO

EMILIANO, GODIAMOCELA

                                        

 

Caro Emiliano, sono davvero poco d’accordo con te. Certo anche a te piacerà il continuo duello che va in scena quest’anno, con Hamilton e Verstappen a darsi battaglia continua in giro per il mondo. E va bene, a te non piacciono gli spacconi e quindi non puoi che detestare i modi da gangster mostrati di recente da Mercedes e Red Bull, ma posso essere franco? Pazienza. Non “pazienza” quello che pensi tu, ci mancherebbe, ma “pazienza” questi eccessi. Sarà questo, insieme agli urlacci che quei due ci hanno fatto tirare quest’anno, quello che resterà nella nostra memoria almeno fino al prossimo Mondiale della Ferrari, che tutto emenda e lenisce.

Le litigate furibonde e un po’ chioggiotte fatte dopo Silverstone, quelle di Spa, quelle di Monza, quelle memorabili e splendidamente ridicole di Interlagos. Poi vabbè, la Fia non è che ne esca proprio alla grande, ma questa è un’altra questione destinata a pesare quasi esclusivamente sulla successione di Jean Todt (e qua sorvoliamo sulle commissioni, che il mio amato rally avrebbe qualcosa da dire). E d’accordo che si è sempre fatta sta cosa di mettere pressione ai commissari e alle norme, ai team e ai piloti. Però è anche vero che il motorsport è una disciplina di pressione, senza la quale cade tutto quello che ci sta dietro. Cade il palco insomma, cade la passione e, più modestamente, cadiamo noi.

Quindi, di preciso, perché ti infastidisce una Formula 1 fatta da bellissimi stronzi? Non mi pare che Niki Lauda, per dirne uno che adoro, fosse un pezzo di pane. E anche quello che “guidava un camion” non brillava per simpatia. E che dire dei sospetti del 1994, con la Benetton felicemente vincente in mezzo a critiche e subodoramenti sussurrati o urlati? O del 2019, che ancora non abbiamo capito con che cosa fosse fatto il motore Ferrari? Godiamocela dai, che anche nell’endurance e nel rally si bestemmiano dietro e neanche proprio poco.

Che poi lo sappiamo bene. La Formula 1 è quello sport in cui venti piloti e dieci team si affannano tutto l’anno per strappare un decimino qua e un altro là, e poi vince Lewis. O almeno così spero, per quest’anno.

 

 

Niccolò Budoia

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Il più forte di tutti (Monza’s Oscar)

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IL PIU’ FORTE

DI TUTTI

(MONZA’S OSCAR)

 

                                         

Stagione finita, Ogier campione (ma che strano), gara molto più bella di quanto non mi aspettassi. Bene, ecco gli Oscar dell’Aci Rally Monza.

Miglior attore protagonista: Sébastien Ogier, scontato. Non ha culo, non ha solo la macchina migliore, non è senza avversari. È semplicemente più bravo e lo ha dimostrato otto volte, almeno. E poi, un po’ di cuore tenero: gli bastava fare secondo, e abbondantemente. Ha voluto vincere per regalare l’ultima vittoria a Julien Ingrassia. Mito.

Miglior attore non protagonista: Andrea Crugnola, e non solo perché vince la classe. Lui che l’aria del Mondiale l’aveva annusata per due anni ci torna per correre una gara premio dopo il secondo posto nel Cir e sbaraglia tutti, facendo tempi da infarto miocardico. Il primo punto iridato suo e di Pietro Ometto è una forma di giustizia.

Miglior film: la prova del Serraglio, la Power Stage. Si è riusciti a tirare fuori una speciale spettacolare in tutti i sensi, ovvero bella da vedere e, ad occhio e croce, difficilissima da affrontare. Un miracolo, che però dimostra una cosa: i rally in pista, per essere belli, devono restare prima di tutto dei rally. Ricordiamocelo.

Miglior cortometraggio: Takamoto Katsuta. Difficile volergli male, soprattutto dopo i messaggi social di ringraziamento al bimbo di 5 anni che, per salutarlo alla prima gara mondiale della sua vita, si è messo a disegnare la bandiera giapponese. Un tesorino, che peraltro sembra aver trovato la quadra. Cuori conquistati, e alla grande.

Miglior regista: Jari-Matti Latvala, e non solo perché è cresciuto col Motoring. Portare a casa un Mondiale facendo più punti di Hyundai in otto gare su dodici è già qualcosa di grosso. Prendersi il lusso di usare un pilota solo per portare a casa punti dimostra una sicurezza straordinaria. E di più: tutti e quattro i suoi piloti quest’anno sono finiti a podio, con tre che hanno anche vinto una gara. Non proprio bruscolini.

Oscar al merito: Yohan Rossel, detto l’uomo-zampata. Ha vinto all’ultima speciale un Wrc 3 che pareva ormai saldamente in mano a Kajetan Kajetanowicz, beffato per tre secondi e tre punticini. Un metronomo perfetto, impressionante per come e quando è uscito alla ribalta.

 

Menzioni Speciali

 

Premio Scienziaeto (ovvero, a chi la fa più grossa): al pubblico della Costa Valle Imagna, ma anche a chi lo ha gestito alla carlona. Al pubblico, perché non si può sentire di una prova annullata due volte per due spettatori da portare via con l’ambulanza (e, aggiungo, con la camicia di forza). A chi lo ha (non) gestito, perché le zone pubblico vanno allestite meglio, in più punti e con più criterio. In due giorni di gara ho sempre guardato i passaggi fuori dalle zone consentite, senza creare o crearmi pericoli. Davvero non ci si aspettava l’invasione, quando l’Italia torna ad avere una gara finalmente accessibile senza aerei o traghetti?

Premio Diludendo: Kajetan Kajetanowicz. Se vinci tre Europei e hai finalmente la possibilità di vincere il tuo primo Mondiale, perdere all’ultima speciale per tre secondi è quantomeno sorprendente. C’è chi gli darebbe il Rododendro, io il Diludendo.

Premio Mandostai (ovvero, ma siete matti): a quei team principal che si augurano gare più corte e su meno giorni per risparmiare, ma non fiatano su auto ibride quantomeno discutibili che probabilmente andranno più piano di oggi e costeranno sicuramente di più. Siamo fra Tafazzi e il Nanni Moretti del “continuiamo così, facciamoci del male”.

 

 

Niccolò Budoia

 

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I problemi di Modena

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I problemi

di

Modena

                                         

Veloci: ditemi quali macchine si possono iscrivere in R1AN, quali in R1BN, quali in Ra5H e in Ra5N. Ed elencatemi la differenza fra le quindici classi che hanno composto il gruppo Racing Start alla finale di Coppa Italia di questo weekend, un gruppo che da solo ha portato a Modena quarantasette equipaggi. Quarantasette. Non lo sapete, eh? Non posso biasimarvi. È stato questo, il problema fondamentalmente di questa finale 2021: non è umanamente possibile dare spazio e soddisfazione a una mandria di quarantotto (48) classi, un numero esorbitante. Quarantotto primi posti, quarantotto secondi, quarantotto terzi, e una montagna di gente che cerca (giustamente, dal proprio punto di vista) di dimostrare di saper andare forte.

 

Ma il problema è stato anche un altro. Il regolamento Aci Sport anche quest’anno è andato in deroga, accogliendo alla finale nazionale anche chi riusciva a qualificarsi in una classe pur con un solo risultato. È successo la bellezza di 126 volte, con un picco nella Zona 5: lì sono stati in 28 a qualificarsi partecipando a una gara sola. Per carità, c’è una spiegazione: la zona era organizzata su quattro gare, di cui due su terra (ma forse anche questo è un problema da affrontare: a parte la Sardegna, tutte le altre gare compresa la finale sono su asfalto, cosa c’entrano due sterrati in una zona?) e una annullata, il Raab.

 

Non sorprende nemmeno il dato dei 24 di quei qualificati che hanno deciso di partecipare alla finale di Modena, visto che la gara avrebbe comunque fatto parte di quella zona. Eppure c’è un problema, al netto di questa spiegazione: dei 238 partenti di Modena, sono stati addirittura 63 quelli che vi hanno potuto partecipare in virtù di una qualificazione ottenuta sulla base di un solo, misero risultato. Numeri impegnativi, perché si tratta di un’ora di passaggio in più da aggiungere a tempi a fisarmonica.

Insomma, i problemi sembrano due: una montagna di classi che hanno prodotto una montagna di qualificati, e regole basate su una situazione emergenziale che hanno creato a loro volta un’altra emergenza, anche se questa di carattere solamente sportivo.

 

I ritardi colossali a cui si è andati incontro sono stati una conseguenza logicissima, di cui anzi quasi tutti erano consapevoli al momento di partire da casa. Ciliegina sulla torta, la decisione di riservare uno spazio anche ai trofei monomarca di Toyota e Suzuki: si può capire l’esigenza e la voglia (anche corretta sotto il piano sportivo) di offrire uno spazio di rilievo ai partecipanti ai due trofei, ma così si sono aggiunti 22 iscritti a una corsa che davvero non aveva bisogno di migliorare i propri numeri. Anzi, probabilmente qualche iscritto in meno non avrebbe schifato gli organizzatori.

 

Niccolò Budoia

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Giudizio (non) sospeso

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Giudizio (non) sospeso

                                         

Una gara del Mondiale endurance è stata sospesa una sola volta, almeno nel periodo più recente. Eravamo a Spa, e nevicava. Per il resto si corre, al massimo dietro safety car. L’ultima 24 Ore di Le Mans vi è partita dietro, si sono fatti due giri e poi via. Ha ricominciato a piovere, la pista era saponata, ci sono state botte tremende: si è corso. Per tutta la notte la pista, appena fuori dalla traiettoria, era bagnata: pazienza, si corre.

Non sono uno dei matti che dicono “si deve sempre correre”. Ma non correre perché si vedeva poco mi pare veramente allucinante, tanto più che a correre non si è nemmeno provato. Dirò anche che non ho ascoltato tutti i team radio, che immagino ci fosse davvero tanta acqua visto che lo segnalavano in parecchi, che ci sono rischi a cui non si deve andare incontro. Che per fortuna sono finiti i tempi in cui la vita di un pilota valeva molto meno di una sospensione o una biella.

Ma la decisione di non correre, di non provarci, di fare i due giretti buoni ad assegnare punti farlocchi ma concretissimi, tutto questo è veramente penoso. Certo ai team non sarebbe andato bene il fatto di tornare a casa senza punti ma con tutte le spese da pagare, il prima possibile grazie. Ma la figura barbina non gliela toglie nessuno, alla Formula 1 e al motorsport in generale. È qualcosa che temo ci si porterà dietro per un po’, almeno fino a quando qualche sorpasso non ci farà dimenticare questa roba qua. Ma ne servono di veramente grossi.

Ah, un’ultima parola per i complottisti della domenica pomeriggio. Dire che sta roba è nell’interesse di Hamilton significa non capire e non sapere, in generale. Avrebbe potuto vincere per davvero, visto quanto va sull’acqua. Se non sapete quanto vada quand’è bagnato per terra, ho una curiosità: bello Marte?

 

 

Niccolò Budoia

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Strana ma magica: Le Mans

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Strana ma magica: Le Mans

                                         

È una Le Mans strana, non c’è che dire. Possono sembrare tante 50 mila persone paganti, ma non lo sono se le vedete in spazi pensati e costruiti per 200-250 mila persone, tutte nello stesso momento nello stesso posto. Anche il clima è particolare. Qui sono quasi tutti in ferie, robe da non credere: mezza Arnage è chiusa, i ristoranti non hanno modificato gli orari per rispondere alle esigenze degli spettatori, le esposizioni di auto d’epoca che si facevano ogni anno anche nel più micragnoso dei paesi attorno al circuito saltano come mosche. Si è fatta solo quella di Arnage, parecchio bellina, ma tutto il resto no.

 

I ristoranti nel circuito sono per metà vuoti, in città i cartelloni pubblicitari non sono poi tanti, le code per entrare in pista quasi non ci sono, né per l’unico accesso riservato al pubblico né per quello dei media. Manca la gente insomma, che da sola faceva mezza 24 Ore. Ne senti la mancanza anche fisica facendo semplicemente una passeggiata in qualunque luogo attorno al circuito. Il ponte Dunlop, dove due anni fa si sgomitava per avere un passaggio purché fosse, quest’anno è sempre quasi vuoto. A Mulsanne e Indianapolis non ci sono le (almeno) due file di spettatori davanti alle reti. Certo, ci sono anche dei punti a favore: nessun giapponese ti spinge per passare, tutto è meno caotico, non c’è coda davanti ai baracchini dei paninari. Ma anche qui: i paninari mercoledì sera avevano finito tutto alle 21, quando la corsa non finiva prima delle 24.

 

E poi il caos è una parte imprescindibile di Le Mans. I baracchini che vendono modellini, riviste e cianfrusaglie, stand pieni di gente, nonni e nipoti, tutte le lingue del mondo motoristico, tipi strani e altri stilosissimi, alto e basso, ubriachi e cravatte. Quest’anno tutto questo non c’è, o c’è molto meno: il pubblico è tenuto a distanza, come fatalmente imposto dal Covid. Italiani non ce ne sono o ce ne sono pochissimi, si sente parlare francese dappertutto, quasi niente tedesco e pochissimo inglese (anche dal personale del circuito, ma questa è un’altra storia). È un anno di transizione, com’era ovvio aspettarsi. Chi c’era qui l’anno scorso, con le tribune tutte drammaticamente vuote, racconta che era come un incubo. Qualcosa di irreale, eppure così tragicamente vero.

 

Ma Le Mans è più forte di tutto. Il fascino sportivo è quello di sempre, e si è visto anche già alle qualifiche: nessuno si aspettava che le Toyota andassero davvero così forte, e occhio alle Gt. La battaglia fra Porsche e Ferrari sarà di quelle straordinarie, con Porsche che vuole proseguire con le vittorie riacciuffando il Cavallino anche fra i costruttori e Ferrari che ha puntato tutto sulla Sarthe: dopo la sconfitta di Monza, vincere qui metterebbe una parola buona sul resto della stagione, dove restano da assegnare 68 punti oltre ai 50 della Sarthe. Il via lo darà un signore a caso, quel John Elkann presidente di Stellantis e Ferrari. Dopo aver dato il Tricoleur ai piloti, Elkann resterà al box per vedere tutta la gara (o almeno una buona parte: passare 24 ore in un box è forse più massacrante di correrle). Nessuno ci starà a perdere. Vincere a Le Mans vale molto più di vincere un Mondiale. Signore e signori, buon divertimento.

 

 

 

Niccolò Budoia

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